DISCORSO 7 GENNAIO 2023  –  FESTA DEL TRICOLORE

Un saluto a tutte le autorità civili, religiose e militari.

Al Ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione dell‘apertura dell’anno accademico di UNIMORE, proprio in questo teatro alcune settimane fa, ha espresso con chiarezza un concetto a molti di noi sempre più familiare: “La transizione non è più immaginabile come il passaggio da una lunga stagione stabile e consolidata ad un’altra altrettanto lunga, stabile e consolidata. Oggi i mutamenti così veloci, e  profondi, che intervengono costantemente, fanno sì che il tempo di transizione sia costante”.

È vero.

Dall’inizio del millennio ad oggi il tempo pare essere stato scandito dal ripetuto susseguirsi di eventi più o meno destabilizzanti e tutti di portata globale: dagli attacchi terroristici alla crisi climatica, dalla pandemia alle crisi economiche, dalla guerra di nuovo in Europa con l’aggressione Russa all’Ucraina ai fenomeni iper-inflativi, l’aumento di prezzi, bollette e costi energetici che stanno ponendo in seria difficoltà cittadini e imprese, istituzioni e terzo settore. 

Ogni giorno ci confrontiamo con un mondo in cui la promessa di costruire una società più giusta, più equa e di maggior benessere diffuso, per noi stessi e per le generazioni a cui la lasceremo in eredità, sembra essere messa drammaticamente in discussione. 

E se il cambiamento genera di per sé timori, talvolta paure e da queste persino odio e violenza, il costante mutamento che stiamo attraversando, e a cui faceva riferimento il Presidente Mattarella, può disorientare individui ed ancor più intere comunità.

Il tempo presente ci chiede invece di saper abitare questa continua transizione, governando il cambiamento senza timori ma con il coraggio di tenere uno sguardo lungo, compiendo scelte lungimiranti che sappiano leggere la traiettoria futura.

Per non correre il pericolo di smarrire la strada e rimanere ostaggi delle paure, abbiamo quanto mai bisogno di ricercare insieme da punti di riferimento costanti, chiari e condivisi in grado di farci vedere oltre anche alle legittime e differenti visioni personali, professionali o politiche.

La nostra bandiera, il Tricolore, è uno di questi. Un simbolo di straordinaria attualità nato dagli ideali illuministi della rivoluzione francese, per ispirarne poi un’altra, quella del Risorgimento italiano.

Un simbolo di libertà, uguaglianza e fraternità ma anche di fiducia nell’uomo, nella scienza e nel metodo scientifico, che sin dalla sua nascita proprio qui a Reggio Emilia, 226 anni fa, ha ispirato giovani patrioti di tutta la penisola a cercare un futuro di unità in una nuova nazione.

Resistenza, una bandiera nuova

Da quel 7 gennaio 1797 il Tricolore ha sempre avuto un impareggiabile valore simbolico per ogni italiana e italiano.

E se oggi siamo qui a celebrarlo così come lo conosciamo, se siamo a celebrare la democrazia e libertà che rappresenta, è anche e soprattutto grazie alle scelte fatte da chi ha lottato quando davvero nulla sembrava scontato, quando Resistere era la scelta più difficile e rischiosa, quando l’alternativa non era ammessa se non nei racconti di libri nascosti o nelle parole sussurrate da amici o parenti.

Proprio da una rivoluzione e da una resistenza culturale, politica ed infine combattentistica persone spesso poco più che adolescenti hanno alimentato quella Resistenza che ha restituito dignità a una nazione intera e alla sua bandiera. Una bandiera finalmente ripulita dall’aquila romana e dal fascio littorio della Repubblica Sociale, che tornò nuovamente a rappresentare quell’originario sogno di libertà, autodeterminazione e fratellanza dal quale era nata. La bandiera della nostra Repubblica.

Una costituzione antifascista

Durante i lavori dell’Assemblea Costituente, Aldo Moro affermò con chiarezza: “Non possiamo […] fare una Costituzione Afascista. […] Non possiamo dimenticare quello che è stato, perché questa Costituzione oggi emerge da quella Resistenza, da quella lotta, da quella negazione per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza”.

Un testo dunque non equidistante dal Fascismo e nemmeno neutro nel giudizio storico sul ventennio, ma una Costituzione che “prende parte”, che diventa dunque a suo modo PARTIGIANA,  che sceglie di essere dichiaratamente ANTI Fascista. 

Ed è per questo che, con grande sincerità e con altrettanta fermezza, continueremo sempre a ritenere gravi e intollerabili le esternazioni e le celebrazioni pubbliche rispetto a sensibilità, militanze o continuità con gruppi politici di presunta o dichiarata matrice fascista, ancor più se espressi da chi ha l’onore ed il privilegio di ricoprire pro-tempore cariche Istituzionali in rappresentanza della nostra Repubblica.

Non c’è democrazia nel mettere in discussione i principi fondanti della stessa. 

Lo dobbiamo alla nostra storia. Che è anche la storia scritta dalla Resistenza dei nostri Appennini, delle battaglie nella bassa, passando per il poligono di tiro di Reggio Emilia dove furono fucilati i 7 Fratelli Cervi, Quarto Camurri, Don Pasquino Borghi.

Le sfide di oggi

Le lezioni della storia devono però tradursi in scelte anche per la nostra quotidianità.

Dobbiamo sforzarci – come cittadini, come amministratori e come italiani – di trovare temi comuni e condivisi su cui porre l’attenzione per far si che ci guidino oltre queste continue transizioni. 

Legalità

Tra questi punti fermi deve rimanere la lotta per la legalità che va combattuta ogni giorno contro malaffare e criminalità organizzate. Spronati da esempi che ci arrivano dal passato – come quello di un altro Mattarella, PIERSANTI, di cui ricorreva proprio ieri il 43esimo anniversario dalla sua uccisione – e del presente, dall’impegno di cittadini e cittadine come il procuratore capo Nicola Gratteri, come Elia Minari e CortoCircuito, di rappresentanze sindacali e di associazioni come Libera, Avviso Pubblico e Agende Rosse. 

Loro non arretrano, così come non possiamo farlo noi.

Non arretrare quando sentiamo pronunciare inaccettabili ambiguità in tema di legalità.

Non arretrare davanti a giudizi screditanti rispetto a strumenti di provato valore ed efficacia come i protocolli provinciali antimafia o le interdittive antimafia emesse dalla nostra Prefettura, atti che hanno radici in procedimenti come Aemilia che restituiscono a tutti noi elementi e conoscenze utili a non poter più dire “ non sapevo”.

Dobbiamo porci ogni giorno la cosiddetta  “questione morale”. Avere il coraggio di non tollerare ambiguità, di basare le nostre scelte non soltanto in base alla legittimità ma sull’opportunità di tali scelte, e di farlo sempre, anche quando questo può significare pagarne un prezzo in termini politici o di visibilità.

Coltivare il futuro, la scuola

Nella storia abbiamo osservato come molto spesso i grandi cambiamenti corrano sulle gambe delle giovani generazioni e di come essi siano mossi da moti culturali prima ancora che da azioni concrete.

È la cultura la scintilla dei sogni.

Ma non esisteranno rivoluzioni o transizioni intelligenti se non si decide oggi di investire in cultura, in luoghi e risorse dedicate ai giovani in modo che possano crescere con gambe forti e pronte a farle correre.

La scuola, l’università, la formazione e i luoghi della cultura devono essere tra i punti fermi e condivisi per far si che i giovani possano decifrare il presente, guidare la transizione e costruire un futuro migliore.

Lavoro

Un altro punto fermo deve rimanere la centralità del lavoro.

Potrà sembrare banale, ma per molti giovani italiani il passaggio tra la scuola ed il mondo del lavoro rischia rappresentare non più il momento in cui cominciare a realizzare i propri sogni ma quello in cui doverli abbandonare.

[Tre dati:]

. per la prima volta, la generazione attuale è più povera rispetto a quella dei propri genitori;

. secondo l’ultimo rapporto Caritas, chi vive oggi sotto la soglia di povertà rischia in media di tramandare tale condizione anche alle quattro generazioni successive;

. e per la prima volta, in Italia ci sono più pensionati che lavoratori attivi.

Davanti a questi dati il dibattito pubblico sul lavoro non può ridursi al solo mantenimento o meno del Reddito di Cittadinanza. Rischiamo di mancare ancora una volta il punto. 

Il Reddito di Cittadinanza deve certamente essere riformato ma dal solo miglioramento di questa misura è palese che non passeranno le risposte a tutti i problemi del mondo del lavoro, delle condizioni dei lavoratori e neppure di chi vive sotto la soglia di povertà! (veloce)

I giovani non chiedono lo stesso contesto lavorativo dei propri genitori, sono pronti ad abitare il cambiamento che stanno vivendo. Chiedono però dignità retributiva e contributiva, riconoscimento e tutele per i “nuovi lavori”, un sano bilanciamento tra tempo del lavoro e la vita privata, di poter ritrovare la fiducia minima per poter costruire una propria famiglia senza necessariamente dover dipendere dalle disponibilità economiche della famiglia d’origine.

Questioni sociali che hanno bisogno di risposte urgenti così come hanno bisogno di un sistema istituzionale, sociale e sanitario in grado di costruirle. 

Ci tengo allora a ringraziare i colleghi sindaci che in prima linea, insieme ad assessori e a dipendenti pubblici, rappresentano il collante di questo sistema e che, anche in un momento di forte tensione economica dovuta ai rincari vertiginosi dei costi energetici, sono disposti a tutto per garantire ai propri concittadini quantità e soprattutto qualità di servizi pubblici faticosamente conquistati e costruiti nel tempo.

“Nessuno si salva da solo” ci ricorda Papa Francesco. Nemmeno noi amministratori, anche con la nostra rinnovata capacità di fare squadra e al netto delle diverse provenienze e sensibilità politiche. Abbiamo bisogno allora che si tuteli al massimo il sistema e l’equilibrio economico dei comuni, e si torni a dare piena dignità alle Provincie, non per generare nuovi posti da occupare, ma per garantire il massimo dell’efficienza amministrativa e vicinanza al territorio dei processi decisionali.

Lo dico da sindaco e lo dico anche da Presidente di Provincia, un ente che continua a svolgere servizi di grande rilevanza a cittadini e Comuni, impiegando al suo interno uomini e donne dalla grande professionalità. 

Sanità

E se è vero il principio che “la grandezza di un Paese è data non da come tratta i primi, ma da come si prende cura degli ultimi”, non possiamo allora non includere tra le priorità condivise anche la salvaguardia del nostro sistema socio-sanitario.

Una conquista che vive oggi uno dei momenti più critici dalla sua nascita.

Tolti gli anni della pandemia, considerando l’inflazione, è lecito affermare che da più di un decennio il nostro Paese abbia progressivamente disinvestito in sanità pubblica.

Errori di programmazione che si traducono oggi in drammatica carenza di personale medico e infermieristico, parziale copertura dei costi energetici e dei costi covid sostenuti dalle regioni per una pandemia che, come osserviamo, è tutt’altro che finita (è cambiata, grazie ai vaccini). 

E allora è lecito chiedersi…

Dov’è stato il dibattito pubblico sulla sanità durante l’ultima campagna elettorale?

Perché in queste drammatiche condizioni abbiamo ancora ritrosie a valutare le opportunità che l’Unione Europea ci metterebbe a disposizione ad esempio attraverso il MES sanitario?

Non intervenire oggi, in maniera netta, equivarrebbe già di per sé a fare una scelta drammaticamente chiara: attuare una traiettoria ben diversa rispetto al modello di una sanità pubblica e universalistica.

E se così fosse, non soltanto bisognerebbe avere il coraggio di farlo emergere nel dibattito pubblico ma addirittura quello di cambiare, peggiorandolo, il principio disegnato dall’articolo 32 della nostra Costituzione.

Voglio essere invece fiducioso che quella visione e quella conquista siano patrimonio comune e che davanti alle ripetute grida di allarme della sanità si possa insieme avere il coraggio di fare scelte che travalicano la giornata, il mese, l’anno, i nostri stessi mandati elettivi, per scrivere insieme non soltanto il salvataggio del sistema sanitario nazionale PUBBLICO E UNIVERSALE ma sancire il suo rilancio quale elemento imprescindibile di un Paese civile che intende garantire a tutti cure, benessere e coesione sociale.

Sostenibilità e ambiente

Un ultimo punto: non esiste bene maggiore del pianeta su cui viviamo.

La crisi climatica che stiamo vivendo ogni giorno è la sfida più grande che come collettività dobbiamo affrontare. Tutti i discorsi, i principi e propositi sono vani, se non siamo in grado di assicurare la sopravvivenza su questo pianeta a noi e a chi verrà dopo di noi.

È  grazie al protagonismo dei giovani se questo tema è entrato finalmente nelle agende politiche dei più grandi Paesi democratici del mondo. E sarà grazie soprattutto a loro se queste rinnovate sensibilità e attenzioni si tradurranno in azioni concrete e non in continue proroghe che rendano il tempo dell’agire indefinito o, peggio ancora, infinito.

Il clima ci presenta oggi un conto sempre più dirompente di decenni di noncuranza.

Lo osserviamo in questi giorni anche nella drammatiche immagini dei nostri Appennini senza neve.

Ieri era il tempo di intervenire.

Oggi quello di mostrarci più coraggiosi e responsabili di chi ci ha preceduto.

E in fondo forse è solo questo che serve per navigare nella continua trasformazione: il coraggio.

Tocca a noi, sindaci, amministratori, cittadini ma soprattutto alla Politica. Le nostre comunità ci investono non soltanto della responsabilità del buongoverno quotidiano ma ci scelgono anche per essere custodi dei loro sogni. Per questo auguro a tutti quanti noi, un anno pieno di coraggio: il coraggio di affrontare il futuro, compiendo scelte e affrontando questioni spinose non come minacce ma come sfide, avendo sempre a cuore il bene comune dei nostri concittadini e delle nostre comunità.

Viva l’Italia! Viva la Repubblica! Viva il Tricolore!

Pubblicato: 07 Gennaio 2023